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Tito, dinosauro tutto italiano

I resti di dinosauri rinvenuti nel nostro paese salgono a cinque: col ritrovamento di "Tito", possiamo vantare il primo dinosauro sauropode italiano, un giovane Titanosauridae vissuto circa 112 milioni di anni fa (Cretaceo inferiore, Albiano). Ora i reperti, sebbene rinvenuti nel Lazio, causa purtroppo la mancanza di un serio museo di paleontologia nella capitale, salvo quello male gestito occultato all'interno della facoltà di Geologia dell'Università La Sapienza, lontano da ogni itinerario turistico che possa valorizzarlo, si trovano al Museo di Storia Naturale di Milano, dove sono state studiate, centro di eccellenza nelle ricerche sui dinosauri italiani.
Un gruppo di paleontologi italiani, con un articolo pubblicato sulla rivista internazionale Cretaceous Research, annuncia dunque il ritrovamento delle ossa fossili sui Monti Prenestini, a meno di 50 km da Roma. Tutti e cinque i dinosauri trovati finora in Italia sono nuove specie, e Tito, con le sue bizzarre articolazioni vertebrali "invertite", potrebbe rappresentarne un'altra. "E' possibile -osserva il paleontologo Cristiano Dal Sasso che l'ha studiato- che i dinosauri italiani siano così particolari, perché evolutisi in parziale isolamento, oppure semplicemente in ambienti diversi dai grandi spazi continentali". Il primo in assoluto è stato il teropode Scipionyx samniticus, detto Ciro, un piccolo dinosauro carnivoro bipede molto peculiare. Tito, di contro, pare sia il più antico rappresentante della famiglia dei titanosauri in Europa meridionale, sauropodi erbivori quadrupedi dal collo lungo, i più grandi animali terrestri mai apparsi sul nostro pianeta. Da qui il soprannome di Tito, che evoca fra l'altro anche un imperatore romano della vicina Capitale.
Quando morì, Tito era lungo almeno 6 metri e pesava 600 Kg, ma stava ancora crescendo, spiegano i ricercatori. "Datemi un osso, e io ricostruirò l’intero animale" diceva il famoso anatomista francese Cuvier. "E così abbiamo fatto con Tito" ricorda Cristiano Dal Sasso. "Infatti -spiega- delle tre ossa estratte, due sono frammentarie, tanto che si può solo dedurre che appartengano a porzioni del cinto pelvico di un grande rettile. Invece la vertebra caudale, lunga 10 cm, perfettamente conservata nelle tre dimensioni, manca soltanto della spina neurale e di una articolazione sul lato destro". "Visto al microscopio, il sedimento che ricopre le ossa è pieno di microfossili marini -aggiunge il paleontologo Federico Famiani-. La carcassa del dinosauro fu smembrata dalle onde su una spiaggia del Cretaceo inferiore". Il dettaglio anatomico della vertebra lascia suppore che "Tito potesse usare la coda come un puntello -conclude Dal Sasso-, magari per alzarsi in piedi e brucare le chiome più alte degli alberi, come spesso ci mostrano le ricostruzioni di altri loro parenti quali camarasauri, brachiosauri e diplodocidi.
In Europa si conoscono pochi titanosauri risalenti a quell'epoca, per lo più di origine africana o sudamericana. La somiglianza di Tito con l'africano Malawisaurus ha fatto pensare che nel Cretaceo inferiore la nostra paleo-penisola doveva formare una catena di piattaforme più ampie del previsto, più o meno grandi quanto la Sardegna, che consentivano il passaggio di dinosauri e altri animali terrestri tra Africa, Asia ed Europa attraverso il Mare di Tetide. La scoperta dunque aggiunge dati paleogeografici importanti per la conoscenza della preistoria d’Italia. "Orme di titanosauri trovate in territorio laziale -precisano i ricercatori Umberto Nicosia e Andrea Cau- indicano che le emersioni di queste piattaforme erano più frequenti di quanto pensassimo". Ciò conferma così l'ipotesi che nel Cretaceo la penisola italiana non fosse tutta sommersa dal mare come si credeva un tempo, bensì formasse una sorta di ponte verso l'Europa.
Affascinante è anche la storia della scoperta del dinosauro Tito. Anni fa, Antonio Bangrazi, mentre costruiva un muretto a secco con massi recuperati da una parete rocciosa situata tra i comuni di Cave e Rocca di Cave, presso Palestrina (Roma), si accorse che alcuni blocchi sembravano contenere ossa fossilizzate, avendo notato la porosità midollare, grazie alla sua passione per le scienze naturali. Ma non le mostrò a nessuno fino all’estate del 2012, quando l’amico Gustavo Pierangelini, fortemente incuriosito, riuscì a fotografarle e ad inviarle per email a Cristiano Dal Sasso, del Museo di Storia Naturale di Milano (MSNM), per una valutazione paleontologica preliminare, lo stesso paleontologo che svelò le meravigliose peculiarità di Ciro, quali alcuni organi interni  rimasti fossilizzati, uniche al mondo. "Confermai subito la presenza di ossa fossili, ma per capirne la forma e classificarle era necessario estrarle dalla roccia" dice Dal Sasso. Pertanto il ritrovamento fu notificato prima a Sandra Gatti, poi ad Alessandro Betori, funzionari della Soprintendenza del Lazio e dell’Etruria meridionale guidata da Alfonsina Russo, che autorizzarono le successive indagini e il deposito dei reperti presso il Msnm. Mesi dopo, da uno dei blocchi affidati a Fabio Fogliazza del Laboratorio di Paleontologia del Msnm venne alla luce una vertebra quasi completa, che mostrava inequivocabili caratteri diagnostici: stava emergendo la carta d’identità di un dinosauro mai visto in Italia.

un articolo di Cristiano Cascioli

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